“È difficile prendere sul serio Melanie Moore: una scrittrice non può essere così bella. Ci sarà sempre un sorrisino di incredulità davanti ai suoi libri, per chi conosca la sua immagine… La sua profondità, la sua preparazione mi entusiasmavano. Intelligente, informatissima… Devo riconoscere una sobrietà lodevole, eleganza, capacità di costruzione, senso della trama e del colpo di scena. Purezza di stile.” BARBARA ALBERTI
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Scappata dal clima repressivo familiare, Monique segue la sua natura libera e provocatoria. È giovane, bella e intraprendente, al culmine del successo come cantante e sexystar, ma il suo equilibrio viene sconvolto dall’assassinio dei suoi quattro amanti. Un thriller emozionante, con uno stile di scrittura immediato e coinvolgente sullo sfondo di miliardari afflitti dalla noia, amici guru, giochi di conquista e di potere, droga, e il sogno di un amore impossibile. Una riflessione sulla verità e i falsi valori, sulla vacuità del conformismo, sul coraggio di chi sa andare controcorrente abbracciando la libertà.
MELANIE MOORE ha fatto la modella a Parigi prima di dedicarsi più compiutamente alla scrittura. Luna di Carne, come dice Nanda Pivano, le ha dato notorietà e stima; sono seguiti altri tre romanzi che hanno riscosso il consenso di lettori e critica.
PREFAZIONE DI BARBARA ALBERTI
È difficile prendere sul serio Melanie Moore: una scrittrice non può essere così bella. Ci sarà sempre un sorrisino di incredulità davanti ai suoi libri, per chi conosca la sua immagine. Io per prima le ho fatto pagare la sua bellezza.
Marzo 1999, era cominciata la “guerra umanitaria”, ovvero l’aggressione dei Balcani da parte della Nato. I paesi ricchi bombardavano i paesi poveri “per il loro bene”, poi si godevano lo spettacolo in tv e ci facevano anche la farsa della beneficenza. Gli italiani, per lo più, indifferenti. Faranno molto più caso al Grande Fratello.
Novanta giorni di bombardamenti, perché i Serbi avevano un dittatore, Miloševich. Noi che invece siamo democratici abbiamo fatto una guerra alle scuole, ai ponti, agli ospedali, al Danubio, ai vecchi morti coi loro cani nei giardinetti NIŠ. In Italia, censimento dei vivi e dei morti, di chi era pronto ad appoggiare le bombe – il 90% dell’informazione o anche amici insospettabili – rivoluzione dei rapporti personali. Era difficile trovare qualcuno provvisto ancora di coscienza.
Fu allora che cominciò a telefonarmi una ragazza che non conoscevo, si chiamava Melanie. La sua profondità, la sua preparazione, mi entusiasmavano. Intelligente, informatissima, era indignata col massacro e l’ipocrisia. Il suo senso della giustizia mi consolava. Per tutta la durata del conflitto siamo state sempre a telefonarci, a comunicarci notizie.
Poi una sera parecchi mesi dopo, in uno studio televisivo, una vamp col viso da bambina mi abbraccia: Sono Melanie, (Embe’?, penso, Melanie chi?) – lei affettuosa, io freddina.
Ero lontanissima dal riconoscere in quella bambola la mia colta amica telefonica. Poi capii.
La mia immaginazione, che si rivelava prudente e per bene, si era raffigurata una brunetta, magari carina, non certo una piccola Marilyn. Beh, ma da qui a scrivere…
Mi sono dovuta rassegnare anche a questo, la mia invidia di donna ha dovuto tacere davanti alle sue pagine, e riconoscere in “Caccia d’amore” una sobrietà lodevole, eleganza, capacità di costruzione, senso della trama e del colpo di scena. Purezza di stile.
Monique, la protagonista, non è Alice, non è Lolita, non è Lulù, ma un poco di tutte loro e in più proprio Monique – che sia pure sedotta e ingenuamente orgogliosa del fumetto in cui vive – fiabeschi patrimoni, carriere spietate – non vuole niente. Salvo essere, nella sua pienezza, nel suo corpo che non è un corpo come gli altri, abituati a negarsi – un corpo che ha bisogno di corpi per esistere. Monique è protetta da un’aureola, come una piccola dea – il sesso come arte perfetta, e naturale – e tragica – perché anche il suo corpo si innamora. In questo giallo non dell’amore, la caccia è all’amore mai trovato, l’amore è l’istante – il culto gentile e assoluto di Monique per se stessa.
Monique non vuole niente, come un animale, come un fiore – pensante ma nonostante questo vivente, istinto e destino la spingono sempre verso il rischio. Anche se ci sono due Monique, una che vuole darsi a tutti, frutto squisito e lieto che può gustarsi solo facendosi gustare – e un’altra che vuole la fedeltà ad un uomo solo – come i grandi viaggiatori, nostalgia di un punto fisso dove si fermeranno solo a riprendere fiato.
Fin troppo gentiluomini sono quelli che incontra, cavalieri senza macchia e senza mistero, l’unico deprecabile è il padre – e Stan e Brenton che di lui sono un’estensione.
Una mano entusiasta e casta per le scene d’amore. Stranamente impari la profondità e il livello dei personaggi: Bud piatto e incredibile come un cartoon, nella sua perfezione banale di corrotto soddisfatto, che Monique santifica.
Mentre il padre è un personaggio forte – da Disney a Tenessee Williams. Gli altri sono sempre uno solo: Bobby, Farouk, Walker, decenti e dolcissimi, ognuno una parte della protezione di cui Monique ha un estremo bisogno – ingannevole bisogno – il suo tempo musicale è la fuga.
Nonostante la rete psicoanalitica nella quale l’autrice la avviluppa, Monique scappa di mano anche a lei e resta libera – leggera – irritante per noi uomini ragionevoli e seduti.
Barbara Alberti.